La favola della Ghianda

«Quello che per il bruco è la fine del mondo, per il saggio si chiama farfalla»

(Laozi)

Questa, come la storia di Free, è una favola che racconto spesso durante il rilassamento di chi si rivolge a me. È praticamente la proposta di un sogno, dove il simbolismo è più importante del realismo: per questo ti invito a leggerla lasciandoti andare ad immaginare.

C’era una volta una Ghianda, bellissima e praticamente perfetta. Cresceva ben attaccata alla sua Quercia, accarezzata dalle foglie che ad ogni soffio di vento le facevano sentire quanto tutti le volevano bene. Quando il sole era troppo forte, le facevano ombra, e quando pioveva la riparavano. Ed ogni mattina, con la riugiada, era la ghianda che sfiorava le foglie per diventare lucida e brillante.

Era felice: sapeva di essere la Ghianda più bella di tutta la Quercia, non dimenticava che molto era dovuto alla fortuna, ma era consapevole dei propri meriti, nel tenersi bene e nel farsi coccolare da tutte le foglie che aveva vicino.

Il tempo passava, e la Ghianda si avvicinava alla maturazione, sempre bellissima, lucente e perfetta. Immaginava che sarebbe stata raccolta e disposta come decorazione sulla ghirlanda per il capo di un eroe o di un potente, bene in vista e sempre curta, e ne parlava con le amiche vicine, che non erano così belle e l’ammiravano pur con una punta di invidia.

Una notte, mentre la Ghianda dormiva e sognava che presto le sarebbe toccato di girare il mondo adagiata sul capo di qualche potente, ecco levarsi un vento più forte del solito. La Ghianda si svegliò di colpo, e si spaventò. Poi urlò alle foglie di proteggerla meglio e fu anche un po’ scortese, ma le foglie la perdonarono e si diedero da fare, per quel che potevano. Il vento scuoteva anche i rami, e cominciava la pioggia, con goccioloni più grossi della Ghianda, che, pur protetta da tante foglie, rimaneva stordita ogni volta che ne cadeva uno lì vicino.

La Ghianda si aggrappò al ramo: sentiva il picciòlo scricchiolare, e cercò di restare attaccata, appoggiandosi sulle foglie a costo di bagnarsi. Il vento continuava e la Ghianda tremava, di freddo, per la pioggia ma, soprattutto, per la paura. Scossoni continui, lampi, tuoni che facevano vibrare tutto, e gli scrosci d’acqua che non finivano.

Il vento era insistente, e le foglie faticavano molto a proteggere la Ghianda: qualcuna, ogni tanto, finiva per staccarsi dall’albero e volare via. Terrorizzata, si sentiva in balìa degli elementi, impotente, e non riusciva nemmeno più a sapere cosa fare. Finché, d’un tratto, perse il contatto con la Quercia, ed il vento se la portò via.

La Ghianda non riusciva a rendersi conto di quello che le stava capitando. Il volo sugli artigli del vento durò parecchio, con mulinelli, botti e rimbalzi, a volte sulle rocce e sui sassi per terra, altre sui tronchi degli alberi che, sferzati, si flettevano come racchette in un tragico tiro al bersaglio. Sentiva gli scricchiolii del guscio che sembrava cedere ad ogni urto, e istintivamente si aggrappava al picciòlo, per accorgersi, con angoscia, che ormai aveva perso ogni appiglio.

Poi cadde su un prato, ma continuò a rotolare, spinta dalla tempesta che non dava segni di tregua. Ancora rimbalzi, salti e giravolte, e cadde in una pozzanghera. Andò a fondo,  e finalmente trovò un po’ di calma. Confusa, dopo aver temuto di tutto e di più, sentiva che il guscio aveva tenuto: forse un po’ infangato, ma era ancora bello come prima, perfetto, senza rotture, e potè lasciarsi andare ad un sonno ristoratore.

Si era appena addormentata, quando un gregge, impazzito per i tuoni, attraversò di corsa quel prato dove c’era la pozzanghera. Decine, centinaia, forse migliaia di zoccoli le passarono sopra senza accorgersi di lei, premendo su quel guscio già così provato, tanto che si ruppe. Per fortuna, il fango la protesse: reso morbido dalla pioggia, avvolse la Ghianda e lasciò che sprofondasse sempre di più, sotto il calpestio incessante delle bestie intimorite. Ma la Ghianda non se ne accorse: il dolore per la rottura del guscio, e le vicende della nottata presero il sopravvento e perse conoscenza.

Intanto la bufera passò, tornò il sereno, e tutto riprese la vita di prima. La Ghianda, invece, continuava a dormire, per giorni e giorni, mentre dal guscio rotto, spuntò una protuberanza che cominciò a ramificare verso il basso, infilandosi in ogni fessura, scendendo sempre più. Ormai la Ghianda, sempre a sua insaputa, grazie a questo sistema, era diventata immobile e stabile, una cosa sola con la terra che la conteneva. Più tardi, spuntò anche un germoglio verso l’alto, candido e robusto, che si faceva strada nella terra per arrivare a trovare la luce.

Oggi, tanti anni dopo, la Ghianda è diventata a sua volta una Quercia, forte, robusta e generosa: i suoi rami ospitano una gran varietà di nidi e di nuove vite, mentre alla sua ombra trovano posto persone ed animali che vogliono riposare tranquilli. E la Quercia sa che, se non ci fosse stata quella terribile notte, la sua sorte sarebbe stata di finire in pasto ai maiali, o, al massimo, come sterile ornamento sul capo di qualche ignoto personaggio.

quercia

Pubblicato da

Alessandro Zucchelli

vedi www.sanzuc.it

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