«Sei sempre libero di cambiare idea e di scegliere un avvenire diverso, o un diverso passato»
(R. Bach – “Illusioni”)
Per avere qualche idea sul futuro occorre imparare dal passato, ed il metodo che più mi aiuta a comprendere la storia, è quello inventato da C. Darwin: la teoria dell’evoluzione. Sembrerà strano, ma i due principi messi a fuoco dall’evoluzionismo, la Mutazione e la Selezione, possono diventare utilissimi anche per comprendere la storia. La Mutazione viene sostituita dalla Casualità degli Eventi, mentre la Selezione viene applicata a tutto ciò che scompare nella storia, non solo per le caratteristiche fisiologiche che cambiano, ma anche per il pensiero, la cultura, e le modalità di convivenza.
In questa prospettiva, è interessante notare come, fin dai tempi più remoti, la differenza principale tra l’essere umano ed i suoi “antenati” Bonobo (o Scimpanzé nani) stia nella capacità di collaborazione. L’espressione migliore dell’aumento di capacità intellettive sta nel fatto che il Bonobo continua a vivere nel suo ambiente, mentre l’essere umano, grazie al lavoro di gruppo, lo modifica, ergendo recinti di difesa, capanne o palafitte, motivi per cui inventa gli strumenti che lo aiutino, e che ci restano da studiare nei musei.
La collaborazione diventa presto, storicamente, elemento di selezione: gli individui che non partecipano restano emarginati e quindi alla mercé dei pericoli per chi non appartiene al gruppo, in questo caso, la tribù. L’essere umano non può vivere da solo, come può, invece, l’orso o la tigre: chi non è capace di andare d’accordo con gli altri viene eliminato dalle difficoltà della vita.
A partire da circa seimila anni fa, la tribù venne gradualmente sostituita dalla famiglia e, in questo modo, il capo tribù divenne il re o l’imperatore: la protezione della famiglia permise l’aumento della popolazione governata da una sola persona, e di conseguenza potè svilupparsi la collaborazione organizzata: nacquero molto presto i palazzi, sempre più vasti e complessi, e le opere di fortificazione, mentre le canoe furono sostituite da navi sempre più grandi. Il cambiamento è significativo: anche se la maggior parte delle persone, cinquemila anni fa, doveva ancora provvedere personalmente a quasi tutti i bisogni, dal vitto al vestiario, i nobili cominciavano ad utilizzare la collaborazione e l’organizzazione per soluzioni ai bisogni più efficaci e gradevoli. L’individuo doveva provvedere al suo orto, alla tessitura dei filati, ai tappeti, e anche alla costruzione della casa, magari aiutato dai figli o dai parenti, mentre i nobili avevano servi che compivano queste operazioni, realizzando opere che, nel tempo, entrarono nella tradizione e passarono anche alla cultura popolare. Si tratta di percorsi millenari, ma la civiltà è partita così, dalla capacità organizzativa di pochi, per estendersi via via agli altri. Già nell’antica Grecia, e poi a Roma, la borghesia godeva di benessere superiore a quello dei Faraoni, disponendo di fognature, di strade, di vestiario e anche di cibo ottenuti dalla collaborazione di molte, moltissime persone. Le strade, i ponti, gli acquedotti, richiedono il lavoro di tantissimi operai, organizzati in gruppi, a loro volta coordinati da chi ha elaborato il progetto e ne cura la realizzazione.
Saltando a piè pari i secoli, per arrivare a quanto mi interessa, la collaborazione è diventata essenziale, condizione di vita banale ed importante, contemporaneamente, come l’aria che si respira e di cui ci si dimentica, ma che resta vitale. In questo momento stai leggendo un articolo su un dispositivo impossibile da costruire in una caverna, ma realizzato con l’intervento di tantissime persone, da chi l’ha studiato, migliorato, collaudato, a chi ha reperito il minerale necessario, chi l’ha trasformato nei vari componenti, chi l’ha montato, poi trasportato, poi venduto, eccetera. Sei vestito con abiti che non hai cucito, avendo mangiato prodotti che non hai coltivato o allevato, in un ambiente realizzato da altri, illuminato grazie al lavoro di tante persone, dalla produzione al fare arrivare la corrente fino a te… e sembra tutto naturale, il lavoro degli altri viene dimenticato.
I nostri nonni dicevano “chi fa da se fa per tre“, e “le società sono buone se con numero di soci dispari, e inferiore a 3“. Oggi questi proverbi sono capovolti, e chi vuol far da solo rimane schiacciato dai tanti che sanno collaborare.
Viviamo immersi nel lavoro e nelle fatiche altrui, non esiste più qualcosa che possiamo realizzare da soli, siamo interconnessi all’umanità in ogni aspetto della vita, dove ciascuno collabora e porta il contributo ad un costante miglioramento. Vero è che, ancora oggi, ci sono ancora molte persone che devono ancora realizzare con le proprie mani gran parte di ciò che serve loro per vivere; tuttavia, proprio grazie ai risultati del lavoro coordinato, il benessere si estende, e sono in costante aumento le persone che fanno meno fatica a vivere.
Certo, ci sono anche i problemi, e in particolare le guerre: la bella notizia è che, mentre fino al secolo scorso si ergevano monumenti a chi orientava la collaborazione verso l’omicidio del nemico, da Garibaldi a La Marmora a Pietro Micca, oggi si cercano sistemi di pace e di dialogo che riducano e prevengano qualsiasi violenza, da quelle internazionali a quelle private.
Va notato come la collaborazione non sia di per sè buona: P. Zimbardo, nel suo volume “L’effetto Lucifero – cattivi si diventa?” ne pone in luce i pericoli. Tuttavia, la selezione premia i gruppi che sanno aiutare, e la società tende a frenare chi si oppone alla maggioranza.
La collaborazione diventa sempre di più il legame tra le persone, rendendo la pace ed il dialogo condizioni ogni giorno più preziose: le ultime fasi del cambiamento sono avvenute in tempi rapidissimi, ed è naturale che si verifichino scompensi, con qualcuno che cerchi di approfittare della novità per propri interessi personali. Ma la storia continua, e la selezione protegge chi collabora, orientando verso la pace: insegnare ai figli come collaborare, come essere tolleranti e rispettosi del pensiero altrui, e come apprezzare la Legge in quanto sistema di pace è, a mio parere, la via per un inserimento sociale denso di soddisfazione e di rapporti interpersonali gratificanti.
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