«L’autorevolezza non è autoritarismo»
G. B. Vico parlerebbe di ricorsi anche nella storia dell’educazione: mentre fino a poco tempo fa, tutti teorizzavano sull’importanza di lasciare liberi i giovani, di evitare autoritarismi e punizioni, ora la tendenza si sta invertendo. A fronte dei disastri educativi derivati dall’assenza di interventi in nome della democrazia e delle aperture, stanno risorgendo i predicatori dei divieti e delle proibizioni, e si sta passando dal “quasi solo sì” al “quasi solo no“, almeno ad ascoltare questi improvvisati educatori, troppo spesso medici, psichiatri o altro, ma evidentemente privi di formazione pedagogica.
Il grande vantaggio relazionale del “no” è che aumenta le probabilità di successo dell’adulto: raramente un “no” è pericoloso per l’incolumità del minore, anche se, spessissimo, non è necessario. «Non stare troppo tempo sui videogiochi!» permette all’adulto di dare al minore la colpa degli insuccessi scolastici, senza con questo dover capire il motivo per cui viene scelto di impegnarsi tanto in questi rompicapo elettronici invece che libri scolastici probabilmente più semplici.
In passato, l’educazione era un insieme di obblighi e di divieti che, nel famoso 1968, messi alla prova dagli studenti in contestazione, hanno dimostrato di avere poca resistenza, crollando miseramente. Purtroppo, dopo il crollo, nulla è stato ricostruito, mentre i nostalgici rimpiangono le roccaforti dei “NO” come se fossero ripristinabili.
Si dice: “senza i no non si imparano i sacrifici“. Premesso che bisognerebbe sapere se i sacrifici sono così necessari per l’educazione, quando l’importante è, invece, costituito dalla disponibilità all’adattamento, tuttavia, è la realtà che impone i “NO”, prima ancora degli educatori. Dai dolori naturali, del mal di gola piuttosto che del mal di denti; alle contrarietà quotidiane, è la vita che comporta gli ostacoli. Piuttosto, è stato il progresso che ha ridotto i “NO” naturali, inventando frigoriferi, caloriferi, abiti, farmaci e chi più ne ha più ne metta. In compenso, chi si appassiona ad una squadra deve imparare a sopportare il fatto che perda, e chi si innamora deve imparare a sopportare di non essere contraccambiato. I “NO”, nell’educazione, sono marginali: ci pensa la realtà a proporli.
Invece, c’è da chiedersi perché molti adulti tendano a ridurre il numero dei “NO” naturali per i figli, mediando più del necessario sui disagi prodotti dalla realtà. L’ipotesi più frequente, è che questi adulti cerchino gratitudine e affetto da parte dei minori, per un loro bisogno non risolto: in questi casi, quello che fa male ai giovani è il potere di decidere se dare o meno affetto ad un adulto che fa di tutto per ottenerlo. È questo potere, inadeguato ed irreale, attribuito al minore, il motivo delle distorsioni nella percezione della realtà e nell’acquisizione dell’esperienza, con le conseguenze che vengono attribuite, a torto, alle riduzioni dei “NO”. In merito ai danni dell’eccesso di affetto ho già scritto qui.
Troppo spesso, invece, si verifica anche l’effetto “cedimento“: il minore chiede, l’adulto nega, il minore insiste, insiste, insiste, e alla fine, l’adulto cede, sfinito. Questo comporta che, col tempo, il minore apprenda l’importanza della tenacia per il successo, ma, soprattutto, che la fatica la devono mettere gli altri. In altri termini, il “no con cedimento” insegna la pretesa, un comportamento che, in età adulta, rende difficile l’inserimento sociale, orientando alla scarsa autostima ed al vissuto di inferiorità. Si formano così personalità difficili da modificare, perché non sono motivate al cambiamento, e sono convinte che i loro problemi siano dovuti a chi è maturo e potrebbe aiutarli.
Il “NO”, quindi, è uno strumento educativo difficile e, se non si è sicuri di mantenerlo fino alla fine, è meglio non usarlo: se si intuisce che prima o poi si cederà, meglio non impostare il braccio di ferro, altrimenti i risultati educativi a distanza sono peggiori. Meglio un “SÍ” subito, che un cedimento, che sarebbe ancora un “SÍ”, con la vittoria di chi sta pretendendo.
Educativamente, l’alternativa più efficace al “NO” è costituita dal “SE“. Il “SE”, la condizione, è il criterio realistico della vita. La realtà non pone divieti, pone condizioni. A volte queste sono molto difficili da realizzare: «Puoi gettarti nel vuoto SE hai un paracadute; puoi uccidere SE stai difendendo la Patria; … ». Invece, quasi sempre, le condizioni sono più semplici «Puoi comprare SE hai denaro; puoi riposare SE sei in vacanza; … »
Il “SE” è l’alternativa alla pretesa: educare mediante il “SE” è educare al realismo, alla padronanza di se, e alla creatività, perché questa si sviluppa proprio per aggirare le condizioni più difficili. Naturalmente, l’efficacia di questo sistema dipende dalle condizioni proposte, che devono essere realistiche e raggiungibili: chi promette al figlio che a maggio ha la media del 4 che, “SE” sarà promosso, gli regalerà il motorinio, non utilizza la tecnica della condizione, ma si limita ad prendere un pretesto per non comprare il motorino.
La condizione educativa, il “SE” è una mediazione rispetto alle difficoltà proposte dalla realtà, e diventa un utile strumento per motivare alla maturazione e all’autonomia: naturalmente, più sono chiari i valori educativi (v. “quattro articoli sull’educazione”) maggiore è l’efficacia, perché i “SE” diventano ottime occasioni per dare quei “premi” che costituiscono l’acceleratore dei processi educativi.
Il “NO” in educazione, quindi, va limitato ai soli casi estremi, quelli per cui si sa che non si cederà mai, nemmeno dopo insistenze infinite. Per tutte le altre situazioni, è molto meglio definire la condizione, proporre il “SE”, sapendo che nel peso dell’impegno richiesto al minore sta l’efficacia della proposta educativa. Il criterio ideale è chiedere sempre uno sforzo di poco maggiore rispetto alla capacità: il minore che viene stimolato ad una fatica per avere quanto desidera, e si rende conto di essere in grado di sopportarla, aumenta in autostima e in autonomia.
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