«I sogni sono desideri di felicità»
(Cenerentola di W. Disney)
Potrebbe essere la “madre” di tutte le fiabe, quasi un mito, anche se, di recente, sembra perdere interesse. I caratteri salienti di questa fiaba, la matrigna, la condizione di serva, ed il riconoscimento mediante un indumento (la scarpetta, ma anche l’anello o un bracciale) sono presenti in versioni antichissime: egiziana, citata da Erodoto (484 – 430 a.C.) e cinese (800 d.C.). Sono state riprese poi dalla tradizione da G.B. Basile, (1566 – 1632), con la sua versione “La Gatta Cenerentola“, da C. Perrault, (1628 – 1703) e dai Fratelli Grimm, (1785 – 1863). È interessante leggere tutte le versioni, che si possono trovare ai link precedenti, qui per la Cenerentola di Perrault, e qui, quella dei Fratelli Grimm; anche Walt Disney, (1901 – 1966), racconta la sua, derivata da Perrault, e qui si può rivedere il cartone animato.
Il problema della comprensione delle fiabe interpretate come sogno, di cui ho già parlato in articoli precedenti, è costituito dall’essere tramandate: spesso gli adulti raccontano storielle ai piccoli, per farli addormentare, ma se questi, una volta adulti, ripetono alcune delle storie ascoltate durante l’infanzia, allora è presumibile che queste, in qualche modo, siano servite. Se poi, la ripetizione si tramanda per generazioni e generazioni, allora è probabile che i contenuti siano stati veramente efficaci. Come ha intuito B. Bettelheim, uno dei sistemi più pratici per scoprire i motivi per cui alcune fiabe vengono ascoltate da piccoli, dimenticate da adolescenti, e ricordate quando si diventa genitori per raccontarle ai figli, consiste nell’interpretarle con le stesse modalità dei sogni: le fiabe diventano così sogni preconfezionati, regalati ai piccoli prima di addormentarsi, in grado di portar loro concentrati di esperienza che rendano loro più semplice la vita.
In questa luce, di sogno che è servito a vivere meglio, cerchiamo di mettere a fuoco i significati trasmessi all’inconscio delle bambine che la ascoltano. Le varie versioni descrivono una situazione iniziale in cui, per la morte della madre naturale, questa passa da un amore materno incondizionato ad un ruolo di ultima della famiglia, condannata a svolgere i lavori più umili e sgridata da tutti. Ho preso in considerazione le cinque variazioni più note, delle trecento esistenti, e ciascuna di queste si distingue soprattuto per l’intervento soprannaturale che imposta l’evoluzione per uscire dalla condizione in cui Cenerentola viene a trovarsi. In ordine di tempo, rispetto all’origine della fiaba, queste le soluzioni magiche:
- Egiziana: un falcone ruba un sandalo e lo porta al faraone
- Cinese: le ossa di un pesce in cui si è reincarnata la madre diventano abiti meravigliosi, con un sandalo d’oro, che viene perso
- Basile: una colombella dice a Cenerentola di rivolgere i suoi desideri alle fate dell’Isola di Sardegna, che le fanno avere un dattero da coltivare, il quale le fornisce gli abiti e la pianella che poi perde
- Perrault e Disney: la comare è una fata e le procura i vestiti con le scarpette di vetro, imponendole un orario di rientro
In sintesi, quindi, succede che Cenerentola
- Dopo una primissima infanzia felice, muore la madre, il padre si risposa, e la matrigna le antepone le proprie figlie
- Viene costretta ai lavori più umili, ma non si ribella, e rimane dolce ed ubbidiente, anche se in cuor suo ha nostalgia della mamma che l’amava
- Si presenta l’opportunità per cambiar vita diventando moglie della persona più importante
- Le sorellastre e la matrigna intervengono con prepotenza e determinazione, ed impediscono che Cenerentola possa partecipare all’opportunità: Cenerentola accetta di subire le angherie e si rassegna alla propria condizione
- Un personaggio magico, legato alla figura materna positiva compie il miracolo di trasformarla nella ragazza più bella di tutte, non solo delle sorellastre
- Cenerentola mantiene l’incognito e si fa rincorrere dall’innamorato, anche se, involontariamente lascia una traccia che permette il riconoscimento
- L’abbandono definitivo della condizione di ultima per diventare la prima
Questo, il riassunto schematico che coglie il pensiero consapevole: cerchiamo di capire quale sia, punto per punto, il messaggio che giunge all’inconscio della bambina che ascolta.
1) La perdita della madre, nelle fiabe, è un simbolo per rappresentare il disagio del passaggio dalla primissima infanzia allo sviluppo successivo. Mentre, se non ci sono gravi problemi, durante i primi mesi di vita il bambino è completamente dipendente dalla figura materna, e ne riceve quindi affetto e attenzioni, succede che, come comincia a camminare, ecco che la madre cambia atteggiamento e comincia a porre i divieti, apparendo, ai suoi occhi, come se fosse cambiata e diventata cattiva.
Nel caso di Cenerentola questo disagio è particolarmente intenso: succede, per esempio, nel caso dei primogeniti, perché la madre è più apprensiva e si dedica totalmente al neonato, mentre, quando arrivano gli altri figli, non può più dedicare le stesse cure, e coinvolge la primogenita nel ruolo di accudirli.
Questo avveniva soprattutto in passato, quando la condizione della donna era particolarmente legata al servizio in casa, e le bambine dovevano imparare presto a rendersi utili. In tutte le versioni di Cenerentola non si parla di fratellastri: il confronto è solo con altre bambine, figlie della matrina, e quindi più giovani. Infatti la matrigna della fiaba coincide con la madre vera che cambia atteggiamento nei confronti della primogenita.
Nella versione di Basile, addirittura, Cenerentola si confida con la maestra di cucito cui l’ha affidata il padre dopo il secondo matrimonio, e questa le suggerisce di uccidere la matrigna, per poter sposare il padre. Ma, quando la maestra di cucito ha sposato il padre, la nuova matrigna diventa peggiore della precedente, e porta in casa ben sei figlie. In questo modo, la fiaba spiega alla bambina che si sente come Cenerentola, che quella condizione è inevitabile, e che, se non la accetta, rifiutando la prima matrigna, rischia di diventare peggiore.
2) Cenerentola subisce: per il linguaggio inconscio, questo è il vissuto della bambina, che si sforza di aderire ai desideri degli altri. L’atteggiamento è tipico delle primogenite (anche le figlie uniche sono primogenite), perché i figli successivi hanno meno attenzioni e quindi sono meno motivati a recuperare affetto. Invece, la primogenita, per ottenere sia pur minimi riconoscimenti quando fa la “brava bambina“, si impegna e si sforza di aderire ai modelli di perfezione richiesti dagli adulti, diventando sempre più sensibile alle sgridate ed ai castighi. Soprattutto in tempi passati, tutto questo non accadeva ai maschi, perché non c’era il passaggio così brusco dalla protezione dei primi mesi di vita al dover apprendere subito i compiti servili tipici della condizione della donna: per i bambini l’insegnamento alla virilità ammetteva la ribellione ed il capriccio che, invece, non erano consentiti alle bambine.
3) Come per la maggior parte di fiabe a protagonista femminile, l’ambizione del diventare adulta coincide con lo sposare il principe e candidarsi al ruolo di regina. La realizzazione della donna, fino a poco tempo fa, era diventare la moglie del potente. Maggiore era la sua potenza, meno importava come sarebbe stata la vita, quale fosse il carattere del marito, quali i gusti: l’importante era essere scelta. Anche per Cenerentola, come per le sue sorellastre, questo è l’obiettivo: arrivare all’altare, quale che fosse la sorte successiva, comunque di ubbidienza. Anche se, nella maggior parte delle fiabe, il diventare moglie del principe può rappresentare il raggiungimento della padronanza di sé, il diventare dominatrice della realtà, direi che in Cenerentola questo non c’è: il principe è assolutamente anonimo, come del resto i pochi maschi presenti. Non c’è affetto o stima di Cenerentola per il principe, ed il principe sarà solo affascinato dalla sua bellezza, e nient’altro: non c’è conoscenza, non c’è intesa.
4) Nella competizione per la conquista dell’obiettivo comune a tutte le fanciulle in età da marito, Cenerentola è l’unica che non si dà da fare. La fiaba mette in risalto la grinta e la determinazione per conquistare il cuore del principe, in contrasto con la rassegnazione e la rinuncia di Cenerentola. Il passaggio è molto legato alla condizione della donna, fin dai tempi delle schiave d’Egitto, cui fa riferimento la versione più antica: fino a poco tempo fa, per diventare una buona moglie occorreva essere soprattutto sottomesse. La mia nonna, a questo proposito, sosteneva che una buona moglie deve avere tre doti: “che la piasa, che la tasa, e che la staga in casa“: «che sia sexi, che ubbidisca in silenzio, e che non vada in giro». Dal 500 prima di Cristo, quando è databile la versione egiziana di Cenerentola, al secolo scorso, la condizione della donna non è cambiata molto, e la fiaba, riprodotta in tante versione, ha chiaramente lo scopo principale di insegnare alla bambina come fare a diventare una buona moglie. Dato che era efficace per trovare marito, e che la buona moglie aveva anche tante figlie, è comprensibile il motivo per cui questa fiaba è diventata il “fil rouge” dell’educazione femminile: mediante la fiaba le sofferenze trovavano una motivazione e, chi raggiungeva il traguardo agognato trasmetteva, in questo modo, l’insegnamento ricevuto.
5) A questo punto interviene l’irrazionale. La realtà, le relazioni sociali, l’esperienza, sosterrebbero che la grinta e la determinazione delle sorellastre sia la via migliore per conseguire i propri obiettivi: ma il matrimonio dei tempi passati era una violenza all’esperienza, ed occorre la magia per premiare un comportamento che, diversamente, sarebbe perdente. Ogni versione ha il suo intervento magico, coerentemente con la cultura in cui viene raccontata la fiaba. Per noi, la versione di Perrault, ripresa da Disney, della fata, è la più accettabile: magia pura, molto estetica, da prendere così come viene proposta. C’è comunque un riferimento alla figura materna originale: il bene che la mamma ha voluto alla bambina diventa ora la magia che trasforma tutto, lasciando intendere, anche se solo all’inconscio, mediante il simbolismo, che Cenerentola è sempre stata bellissima e degna di quegli abiti, anche se per umiltà e per bontà ha accettato di esserne privata.
Nel simbolismo, la bellezza è l’amabilità, in quanto suscita il desiderio di possedere: è quindi una funzione passiva, dove l’unico modo per aumentarla consiste nell’ubbidienza. Essere piacevole, aderire ai desideri: per questo Cenerentola sa ballare così bene, perché segue il cavaliere senza prendere iniziative, promettendo, col linguaggio non verbale, che farà tutto quello che lui vorrà.
6) Prima che la festa sia terminata, Cenerentola scappa, che sia per un impegno preso con la fata o per motivi che non si conoscono. Comunque, evita di farsi conoscere dal principe: balla soltanto, e non fornisce altre notizie, tanto che deve essere rincorsa dai servi del principe che, tuttavia, non riescono a raggiungerla. Dal punto di vista simbolico, viene evidenziata l’impossibilità, per il principe, di sapere qualcosa di più su Cenerentola, costringendolo alla ricerca successiva.
Per la protagonista, il messaggio inconscio è di comprensione per lo stupore del successo sperato ma inaspettato. Cenerentola non può far vedere al principe la sua condizione, la propria autostima non glielo permette, ed è convinta che il successo sia dovuto alla magia, e non sia meritato da lei.
Nella cultura in cui la condizione della donna era di sottomissionie, alle Cenerentole capitava spesso di fare innamorare qualche uomo, per la loro bellezza umile e per la loro disponibilità all’ubbidienza: un esempio potrebbe essere la Lucia Mondella di A. Manzoni, con tutte le vicende causate proprio da quanto piaceva la donna modesta. La fiaba insegna alla bimba come riconoscere l’uomo da sposare: se, in conseguenza alla fuga, questi sarà così ostinato da riuscire a trovarla, allora ci saranno buone probabilità di successo. La fuga, che gli uomini pensano sia strategia di seduzione, di fatto è una verifica che nasce spontanea nella ragazza “Cenerentola”, e mette alla prova il desiderio maschile, unico criterio di scelta consentito alle donne “di buona famiglia“, fino a poco tempo fa.
La traccia che sfugge a Cenerentola, sandalo o pianella o scarpetta di vetro, è il lapsus: Cenerentola non riuscirà a nascondersi perfettamente, e, se il futuro marito sarà sufficientemente ostinato, riuscirà comunque a trovarla. La traccia serve anche per escludere ogni altra concorrente: tutte le versioni concordano nel proporre le sorellastre che invano cercano di dimostrare di esserne titolari, e vengono escluse. Dal punto di vista della simbologia inconscia, la traccia mira a tranquillizzare la bimba: se scapperà, non solo verrà rincorsa solo da chi ha intenzioni serie, ma, per giunta, questi vorrà proprio lei, e non ci sarà pericolo che si accontenti di altre, perché solo lei è stata capace di indurre il principe ad inseguirla.
7) L’ovvia conclusione, del “vissero insieme felici e contenti“, in questo caso è un po’ la condanna di Cenerentola, che passerà da umile e ubbidiente a moglie e ubbidiente: questo la fiaba non lo dice, e nemmeno vuol farlo sapere, ma Cenerentola non impara e non vuole imparare a comportarsi come le sorellastre. Non solo. Cenerentola sposerà il principe senza amarlo: non sa chi sia, non ne conosce la personalità, non ha la minima idea di come poter andare d’accordo. Sa solo che lei sarà ubbidiente, e questo basterà. Il modello di matrimonio proposto dalla fiaba è fragilissimo, e si fonda solo sulla capacità che Cenerentola costruisce in anni di umiliazioni e di ubbidienza assoluta.
La fiaba, quindi, è una scuola per conservare la condizione della donna in sudditanza del marito, e quindi per conservare la struttura famigliare che da seimila anni è diventata caratteristica delle organizzazioni più civili. Per questo è stata utile e quindi ripetuta: tutti i tentativi di modificare la condizione della donna, invece, si sono persi, perché, in passato, le donne che non accettavano questa condizione non arrivavano alla famiglia e, di conseguenza, non avevano figli cui raccontarle.
Con questo, rimangono almeno due punti validi ancora oggi. Il primo riguarda la fase iniziale: il passaggio dalla prima infanzia, protetta e densa di affetto, al periodo dell’autonomia, con i divieti, anche se oggi con molto meno richieste di collaborazione ai lavori domestici, resta frequente, a volte anche più intenso, almeno per le esigenze lavorative che impediscono alle madri di dedicarsi completamente ai figli. La fiaba tranquillizza per quanto fa sapere al bambino, maschio o femmina, che il suo caso non è unico, e che quindi non è oggetto di persecuzione.
Il secondo sta nella motivazione alla sofferenza: dato che non è possibile vivere senza incontrare il dolore, la fiaba spiega che questo dolore non è inutile, ma formativo alla capacità di adattarsi, e quindi orienta il modo di vivere la frustrazione verso un’accettazione che non sia solo passiva, ma di valorizzazione.
Tutto questo non basterà per un buon matrimonio: oggi la famiglia è in grande crisi, e la donna non ci sta più ad essere solo ubbidiente, nemmeno se ha imparato da piccola grazie ad alcune fiabe. Per questo, le fiabe stanno scomparendo dalla cultura, soprattutto perché non c’è più chi le racconta, ma è utile ristudiarle, per trasformare il passato in esperienza.
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