Riapre la scuola

«L’istruzione è ciò che rimane dopo che si è dimenticato ciò che si è imparato a scuola»

(A. Einstein)

Fino al 1859, chi voleva studiare doveva pagare: che si trattasse di denaro, o di sforzoGCasati personale per meritarsi l’accesso alle scuole gestiti da sacerdoti o da nobili istituzioni, lo studio non è mai stato gratuito, da quando è nato fino alla promulgazione della legge Casati, appunto del 1859. Da allora, via via, la scuola è diventata sempre più accessibile e più facile, ma ci sono alcuni aspetti che sono rimasti praticamente immutati dal 1858.

La scuola per i ricchi iniziava anche molto presto, con la balia, per poi proseguire con il precettore che, vivendo presso la casa dei genitori, provvedeva all’educazione dei figli. Con l’adolescenza, le richieste culturali aumentavano, e l’istruzione non poteva più Oxfordessere affidata ad una sola persona, per cui la soluzione era il collegio, dove i nobili rampolli si trasferivano per seguire studi classici e scientifici. Per l’università, poi, occorreva raggiungere i centri che ne disponessero, e anche lì, gli studenti si trasferivano. Col 1700 le scuole superiori tendono ad uniformarsi, accessibili sempre a pagamento, ma senza la necessità del convitto, anche se i vari stati presenti in Italia mantengono legislazioni differenti. Tuttavia, per chi non ha problemi economici, l’accesso all’università diventa sempre più semplice.

MMontessoriPer molto tempo, la scuola è stata riservata ai maschi. Solo nel 1874, in Italia venne ammessa l’iscrizione delle donne ai licei e alle scuole di magistero, nonché all’università: la prima donna laureata in medicina in Italia è stata M. Montessori (1896)

La maggior parte degli utenti delle scuole, in passato, era legato all’agricoltura: tanto i nobili quanto i borghesi, avevano terre dalle quali trarre mantenimento e da controllare, soprattutto al momento del raccolto, per evitare che i contadini nascondessero qualcosa. Per questo occorreva che in estate la famiglia si trasferisse nei possedimenti, e con la famiglia anche i figli studenti. Di conseguenza, è tradizione capitalista che la scuola termini a giugno, per riprendere a settembre, quando la raccolta nei campi è stata completata, e si può tornare in città.

Con il passaggio alla scuola pubblica, gli insegnanti avevano origini borghesi, ed hanno mantenuto l’abitudine di andare in vacanza da giugno a settembre, anche se ora i loro allievi erano figli di operai e di contadini, che spesso lavoravano anche il sabato e a volte la domenica mattina. Di tutte le categorie, ancora oggi l’unica che non svolge l’attività che la qualifica per ben tre mesi ogni anno, è rimasta quella degli insegnanti. Nemmeno nel sessantotto2’68 qualcuno si è ricordato che le vacanze estive sono un retaggio borghese, e nessuna riforma è riuscita a modificare questo privilegio. Mai un sindacato che ne abbia proposto l’abolizione. Avvocati, medici, ingegneri, e tutti i professionisti, lavorano undici mesi l’anno, trovando i tempi necessari per l’aggiornamento e la programmazione: non si vede perché gli insegnanti non possano fare altrettanto.

Per motivi analoghi, anche l’orario della giornata scolastica tende a risentire ancora della cultura capitalistica nobiliare e borghese: mentre tutti i lavoratori sono impegnati per otto ore al giorno, quasi tutte le scuole terminano alla mattina, come se non fosse possibile insegnare per otto ore di fila. E non è perchè gli allievi si affaticherebbero troppo: loro, al pomeriggio, devono studiare e fare i compiti. I nobili ed i borghesi, quelli che pagavano per la scuola, avevano anche chi seguisse i figli nei compiti e nelle eventuali ripetizioni, ma oggi, visto che la scuola è per tutti, occorre fare i conti con la realtà delle esigenze di chi non è ricco. Altrimenti, come sta succedendo, non si tratta più del diritto allo studio, ma solo di un ritardo ad entrare nel mondo del lavoro, pesante soprattutto per chi ha bisogno di aiutare la famiglia.

BarbianaNon a caso la scuola di Barbiana, quella fondata da Don L. Milani, funzionava 365 giorni all’anno, per tutta la giornata. Tanti i tentativi di imitazione, ma nessuna con queste caratteristiche.

Di fatto, proprio perché la scuola è rimasta strutturata in una modalità favorevole solo a chi è ricco, tende a riprodurre la condizione sociale nelle generazioni. Chi può permetterselo, completa l’istruzione scolastica con una formazione più completa, e preparando i figli al successo nel mondo del lavoro, mentre gli altri, per la maggior parte, imparano solo il peso del dover studiare ed il sogno di evadere dagli impegni sociali. Quando l’insegnante di lingua straniera, per punire Pierino che è stato distratto, gli dà il docenteArrabbiatodoppio dei compiti a casa, gli insegna che la disciplina che lei insegna è un castigo e che anche per lei è solo una fatica ingrata.

A completare il quadro, oggi ci sono anche gli inserimenti di stranieri che, non conoscendo ancora la lingua italiana, rallentano l’attuazione del programma scolastico, dimostrando quanto questo sia poco aggiornato e ritenuto poco utile, e pretendendo che l’integrazione avvenga solo sullo sforzo dei compagni, senza fornire agli stranieri gli strumenti culturali di cui avrebbero bisogno prima di accedere ai corsi normali. Si potrebbe continuare con tanti altri problemi, dalla scelta delle materie da insegnare all’efficacia degli aggiornamenti… La conseguenza finale è che la scuola non è più quella che dovrebbe essere. Soprattutto, manca la motivazione, che in passato era costituita prima di tutto dal privilegio di potervi accedere; manca l’interesse, che in passato era coltivato dall’ascendente dei docenti; e manca la concretezza, che in passato era legata alla condizione per avere un lavoro.

scuola2Tutto questo vuol dire che, al di là del tanto decantato “diritto allo studio“, la scuola si riduce nella maggior parte dei casi ad una tortura che demotiva all’impegno ed alla maturazione, anche se con le debite, ma purtroppo rare, eccezioni, fondate non sull’istituzione ma sulla responsabilità individuale dei singoli insegnanti o dirigenti scolastici.

Di conseguenza, per evitare che il periodo scolastico diventi dannoso ai nostri figli, bullismooccorre ricostruire quello che manca, e fornire, da parte degli adulti interessati, quello che la l’istituzione promette ma non mantiene.

Prima di tutto, occorre fornire la motivazione: la voglia di diventare grandi e di diventare utili e partecipi alla società. Il sistema dei nostri nonni consisteva principalmente nel rendere difficile la vita ai piccoli, mediante doveri, regole, punizioni, e sgridate. Aveva bassissimo rendimento, perché selezionava senza pietà, ma almeno qualche motivazione c’era. Oggi la scuola è rimasta, per quasi tutti gli studenti, un peso incomprensibile, slegato dalla vita, dove tanti riti, come il voto, la pagella, l’intervallo, si susseguono pur avendo perso significato. Ripeto, le eccezioni tra gli insegnanti e tra i baccalaureatodirigenti scolastici, ci sono, ma l’istituzione non solo le ignora: rende loro la vita più difficile. Quello che c’è da cambiare è la struttura, dal ministero in poi. Quindi, nell’attesa, occorre motivare i giovani a diventare adulti e capaci di interagire efficacemente con gli altri, e questo resta un lavoro a carico dei genitori.

In secondo luogo, ai giovani studenti va fornito un interesse. Come chi lavora ottiene in cambio lo stipendio, così chi va a scuola deve avere un tornaconto. In passato, i genitori pagavano, e già questo era un motivo di interesse, perché avrebbero potuto smettere, e in tal caso i figli avrebbero dovuto andare a lavorare, in un mondo dove il lavoro lavoroMinorileminorile era particolarmente pesante. Ma oggi c’è l’obbligo scolastico, e l’interesse è diventato troppo spesso quello di stare a casa ed evitare la scuola.

Gli anni in cui si deve andare a scuola sono i migliori della vita, dove è possibile apprendere in modo determinante per il futuro: purtroppo lo Stato lo ha dimenticato, sprecando le infinite sorse dei giovani, ma i genitori responsabili possono correggere, almeno per i loro figli, dando loro incentivi perché si applichino nello studiopremio e nell’apprendimento.

Infinte, è indispensabile che la scuola diventi un percorso di inserimento sociale. Non si sceglie la scuola perché è più facile, perché non riesco bene in matematica o perché ci va il mio amico. La si sceglie per diventare capaci di fornire un servizio alla società, così che la società possa acquistarlo pagandolo come lavoro. Quindi, scegliere l’attività più congeniale per essere utile agli altri mediante una propria realizzazione è l’obiettivo da coltivare fin dalla più tenera età, accettando tutte le idee fantasiose in vista disoccupato2di una concretizzazione sempre più realistica. Diversamente, la scuola resterà un perdita di tempo in attesa della disoccupazione.

Sono convinto che solo i risultati positivi da parte di chi entrerà nella società in modo efficace e produttivo diventeranno la spinta perché a tutti possa essere veramente dato il diritto allo studio, diritto a non buttar via gli anni migliori, diritto ad entusiasmarsi per il sapere e per lo sviluppo della capacità di pensare. Vero è che quando non c’era la scuola, le intelligenze dei poveri venivano ugualmente sprecate, ma non è un buon motivo per continuare a buttarle via, spendendo per una struttura che non mantiene le sue promesse.

Pubblicato da

Alessandro Zucchelli

vedi www.sanzuc.it