«Il mio è meglio del tuo»
Tutti, poco o tanto, tendiamo a notare più i difetti che non le doti altrui: il pettegolezzo ne è il tipico ma non unico esempio, ed è frequente che si parli male degli assenti, magari cercando un accordo tra i presenti in merito alle loro mancanze. Spesso, nelle discussioni di calcio, si vanno a cercare gli errori commessi dalla squadra avversaria o dall’arbitro, e quando si parla di politica, la gara è ad evidenziare dove sbaglia chi ha il potere. Se queste abitudini fanno parte della vita quotidiana, al punto che spesso è difficile restare in gruppo senza aderire a critiche e condanne, a volte si incontrano persone che in questa attività sono espertissime, e praticamente fanno solo quello. Capaci di cogliere il pelo nell’uovo, individuano con estrema precisione ogni più piccola contraddizione, evidenziandola con orgoglio, come se da questa fatica traessero chissà quali grandi soddisfazioni.
Già! Il problema è proprio questo: cosa ci si guadagna a criticare, a trovare i difetti altrui, a cogliere le contraddizioni degli altri? La saggezza spiega che i vantaggi si trovano quando si scoprono le virtù nelle persone che si incontrano, e ad imparare da loro. Come riporta la saggezza Zen, “quando l’allievo è pronto, il maestro appare“, e tutti hanno qualcosa da insegnare a chi vuole apprendere. D’altro canto, la cultura cristiana insegna a non guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello (Mt, VII, 3-5), o a non giudicare, per non essere giudicati (Lc, VI, 37) e in tutte le culture, da quella musulmana a quella buddhista o giudaica, si trovano molti spunti di saggezza che invitano a cercare in chi si incontra le qualità positive piuttosto che quelle negative.
Come dicevo in articoli precedenti, ogni comportamento si fonda su un vantaggio, acquisito o sperato: se l’abitudine di criticare gli altri è così diffusa, qualche vantaggio deve esserci, e come si sa dalla psicanalisi, solo quando si scopre quello che si guadagna diventa possibile cambiare sistema.
Per chi è abile nel trovare i difetti altrui non c’è grande vantaggio sociale: di solito, risulta antipatico e non riceve gli apprezzamenti che spesso, invece, deve darsi da solo. Quindi, cosa ci si guadagna a trovare i difetti e gli errori degli altri? Dovremmo dedurre che chi si comporta così ha un animo cattivo? Anche se molti arrivano a questa conclusione, chi ha la possibilità, per esempio per professione, di conoscere da vicino coloro che cercano i difetti altrui, si accorge che la cattiveria non alberga nel loro cuore, anche se tendono ad essere giudici severi con tutti, se stessi compresi.
E. Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, una teoria psicologica che aiuta a capire le relazioni tra le persone, propone, per spiegare il comportamento di queste persone, la formula “Il mio è meglio del tuo“, approfondita nel testo di T. A. Harris, suo discepolo, il cui link è nella citazione iniziale. Praticamente, secondo questa teoria, chi cerca i difetti negli altri lo fa per vincere nel confronto rispetto a se stesso, come se fosse vero questo ragionamento:
- Tutto quello che è sbagliato va rifiutato e buttato via.
- Io mi sento sbagliato,
- Quindi dovrei rifiutarmi e buttarmi via
- MA se trovo qualcuno più sbagliato di me, allora mi metto in coda e non mi butto via fino a che non si butta via lui
In altri termini, il vantaggio, per chi trova i difetti altrui, consiste soprattutto nel ridurre il peso dei propri: chi si sente sbagliato tende a cercare gli errori degli altri per dimostrarsi che esistono persone più sbagliate di lui. E, dato che i propri difetti non scompaiono quando li si ritrovano negli altri, ecco che il circolo vizioso continua, fino a diventare, in alcuni casi, anche ossessivo, in una costante ricerca di errori e di contraddizioni, tentando disperatamente di dimenticare i propri insuccessi. Tuttavia, dato che la scoperta di un nuovo errore da parte degli altri comporta il sollievo di ridurre il peso del proprio sentirsi sbagliato, allora il metodo della caccia all’errore degli altri viene gratificato e prosegue, nonostante, di fatto, sia controproducente in tutto, soprattutto nelle relazioni sociali.
L’origine del sillogismo alla base della formula “il mio è meglio del tuo” sta nel sentimento di inadeguatezza, che è comune a quanti non sono matti. Questo sentimento si sviluppa in ogni personalità sana, quando, verso i tre anni, si scontra con la comparsa della pulsione sessuale, che appare nuova e poco controllabile, in quel processo che S. Freud ha descritto per primo e che è noto come “complesso di Edipo” (qui quattro miei articoli su questo tema). Proprio in seguito a questo processo ha origine la convinzione di essere imperfetti, per l’esperienza della difficoltà nell’ottenere da se stessi la completa obbedienza. Vale, a questo proposito, l’espressione di Ovidio, e ripresa anche da S. Paolo, “video meliora proboque, deteriora sequor“: “vedo il meglio e lo approvo, ma finisco per fare il peggio“.
Anche se tutti si sentono inadeguati, tuttavia, praticamente tutti imparano a nasconderlo, e ciascuno ritiene di essere il solo a soffrire di questo problema, perché tutti riescono a mimetizzarlo bene. Tuttavia, proprio il bisogno di trovare difetti negli altri smaschera l’inadeguatezza che, se non ci fosse, permetterebbe di cogliere, invece, gli aspetti positivi.
Un superamento completo del sentimento di inadeguatezza non è possibile: solo personalità patologiche, come quella di A. Hitler, per esempio, non ne soffrono, ma non per questo sono invidiabili. Per tutte le persone “normali” resta un contrasto tra il pensiero consapevole e gli impulsi dell’organismo, che rimane come “rumore di fondo“, a disturbare la coscienza. Che lo si chiami “peccato originale“, o che sia la difficoltà ad essere in pace profonda con se stessi, il sentimento di inadeguatezza sta alla radice di questo malessere che fa temere di essere sbagliati. Tuttavia, diventa chiaro come non sia trovando i difetti negli altri che si risolve il problema. Anzi: più si allena il pensiero a cogliere le contraddizioni, più diventa capace di vederle anche su se stesso, aumentando così il vissuto di inadeguatezza.
Le vie per ridurre il sentimento di inadeguatezza passano prima di tutto da una riflessione sul significato di “errore“. Esistono persone che sbagliano, ma non esistono persone sbagliate. “Tu non sei i tuoi errori” ricorda la saggezza Zen: sbagliare è umano, ma l’essere umano non è sbagliato. Quindi, quando si sbaglia, si tratta semplicemente di correggere, di riparare, e, in questo modo, orientarsi al perdono. Diventare capaci di perdonarsi in seguito alla correzione è la via che consente di non giudicare chi sbaglia, e di vivere meglio con gli altri. Chi giudica gli altri, è severo con se stesso, e vive male, ma non per questo smette di sbagliare: invece, accettando che l’errorre si può correggere, si riduce la tensione contro se stessi, si sbaglia di meno, e ci si accorge che gli altri hanno tanto da insegnare.
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