Comunicare l’affetto

«Anche l’affetto può far male»

(A. Zucchelli)

Sembra facile: per comunicare l’affetto bastano gli abbracci, le carezze, i baci… Lo sanno affettoCanguroCanefare tutti, anche i bambini, anche gli animali. Per l’affetto le parole servono poco, mentre il linguaggio non verbale la fa da padrone, superando non solo le barriere linguistiche, ma anche quelle razziali, raggiungendo non solo i mammiferi, ma anche, probabilmente, pesci, uccelli e rettili.

Ma cosa vuol dire abbracciare? Perché alcuni gesti significano affetto, mentre altri no? E perché i neonati, come gli animali, capiscono che si tratta di affetto senza che nessuno glielo abbia potuto spiegare?

Credo che la chiave sia stata scoperta da G. Bateson, in un saggio inedito, e ripresa daBroncio P. Watzlawick, a proposito della comunicazione non verbale, e in particolare della negazione (v. La Pragmatica della Comunicazione Umana, § 3.531): l’osservazione originale riguarda il fatto che, per la comunicazione non verbale, il gesto, è inevitabilmente assertivo: il gesto può solo affermare. Va notato che alcuni gesti, come il fare oscillare l’indice o la testa, utilizzati in Italia del Nord per negare, appartengono al linguaggio “codificato”, perché non sono universali, ma sono legati a determinate culture, e gli animali non dispongono di questi sistemi per comunicarsi la negazione.

Il gesto afferma, e, per l’animale, negare è un problema. Tutte le volte in cui è possibile, la soluzione sta nel gesto contrario di ciò che si intende negare. Il cane che non vuole caneRifiutauscire punta i piedi o si sdraia, affermando l’intenzione di restare, e, se non vuol mangiare, se ne va da un’altra parte. Il problema si complica quando non è possibile il gesto contrario rispetto a quello che si intende negare, ed il gesto più importante da negare riguarda l’aggressività. Se due animali si ritrovano in contesa, ed uno volesse fare la pace, non ha a disposizione il gesto contrario della guerra, perché rifiutarsi di combattere non comunica pace, bensì resa. Chi non risponde all’aggressività, le prende, ma non riesce a far sapere che intende non darle: appare perdente, e non pacifista.

Questo è il vero, grande problema della pace: non si riesce a comunicare né in modo verbale, perché il linguaggio, tra nemici, non è credibile, né in modo non verbale, perché il contrario dell’aggredire non è la pace ma l’arrendersi. pace

Di fatto, la pace è essenziale: anche se C. Darwin sosteneva che prevale l’individuo che fisicamente è più prestante, di fatto la forza fisica non è sufficiente per sopravvivere. Il più prestante può vincere una, due, tre, quattro volte, ma poi si indebolisce e finisce per essere sopraffatto a sua volta. Vince chi sa stare in pace con i suoi simili. Watzlawick nota come, in questi casi, quando si tratta di fare la pace, gli animali aggrediscono, ma arrestano il gesto prima che questo faccia male. Probabilmente, si sono eliminati gli animali che non hanno imparato questa modalità di comunicazione, e penso in particolare ai dinosauri.

Chi ha un cane sa che, tra i gesti di amicizia, uno dei più efficaci è mettere la mano in bocca al cane, in modo che possa far sentire la pressione dei denti, senza mordere. affettoCaneGatto.gifQuesto è un esempio dell’interruzione dell’aggressione: la dimostrazione che potrebbe mordere e, se non lo fa, è per una decisione, la negazione della guerra, il desiderio di pace.

Analogamente, cani e gatti amano sdraiarsi a gambe all’aria, cercando grattini sulla pancia. Anche in questo caso, i grattini sono assalti interrotti alla pancia, zona particolarmente delicata e vulnerabile: dal punto di vista di chi li riceve, potrebbero essere morsi o unghiate, comunque interrotti, e quindi indici del desiderio di pace. Lo stesso vale per le carezze sul collo, dove la mano di chi accarezza non avrebbe difficoltà a stringere, e strozzare quindi l’animale, che percepisce questo messaggio di interruzione e lo legge come intenzione di pace. Interessante notare che, per l’essere umano, esiste anche il solletico, un assalto particolare in punti molto vulnerabili, continuamente interrotto, che produce come risposta un pianto continuamente interrotto, meglio noto come “risata“.

A questo punto dovrebbe essere chiaro come i gesti usati per comunicare affetto, in realtà, siano intenzioni di pace, assalti interrotti. Tipicamente, chi abbraccia sa chebearhugs[1] vorrebbe stritolare per portare dentro di sé la persona o il bimbo che sta stringendo, e che arresta il gesto: dal punto di vista del pensiero animale, quindi non consapevole, di chi riceve l’abbraccio, questa è un’interruzione, proprio come i grattini sulla pancia del gatto. È importante ricordare che il messaggio arriva al pensiero profondo, inconsapevole, come già visto nell’articolo precedente.

Il bacio diventa un morso interrotto, la carezza uno schiaffo frenato: l’affetto, dal punto di vista del linguaggio del corpo, percepito dal corpo, è una proposta di pace. Questo nella comunicazione tra adulti. Infatti, nella comunicazione tra un adulto ed un bimbo, non ha senso proporre la pace, perché non c’è intenzione di guerra da parte del piccolo. affettoCivetta.gifDal punto di vista del piccolo, l’interruzione dell’assalto dell’adulto comunica l’intenzione di mettere a sua disposizione la forza che ha: «potrei stritolarti, non lo faccio, e la mia forza è per difenderti». L’affetto, nei confronti di chi è più debole, è una promessa di protezione, che arriva nel profondo, perché utilizza un linguaggio non verbale, percepito dal pensiero inconsapevole, quello comune agli animali.

Proprio per questo diventa importante evitare di esagerare con la comunicazione dell’affetto: mediante le interruzioni degli assalti, i piccoli ricevono promesse che li rendono felici, ma sono promesse che attendono risposte e, se queste risposte non arrivano, si creano problemi. La quantità di gesti d’affetto non può rimanere costante sgridatacon la crescita, e anche la protezione si riduce: con l’autonomia che aumenta, il rapporto con gli adulti diventa conflittuale, passando da tutto lecito a molto vietato, con richieste di impegno e di fatiche. Questo comporta diverse conseguenze; la più frequente nella riduzione dell’autostima, con il pericolo della chiusura al mondo e della depressione: “se ero prezioso tanto che mi promettevano protezione, e ora nessuno mi protegge, allora ho perso ogni motivo di valore“.

violenzaNel caso ti ritrovassi con un figlio in queste condizioni, di conseguenza di eccesso di affetto, occorre ricordare alcuni punti. Primo: non è sgridando o arrabbiandoti che lo aiuti a cambiare. Evita ogni forma di aggressività nei suoi confronti. Secondo: occorre un progetto per ricostruire il dialogo affettivo, proponendogli le interruzioni adatte a lui, e per questo, probabilmente occorre la consulenza di una persona esterna. Terzo: occorre tanta, ma tanta pazienza… Per questo, se sei ancora in tempo, evita di dare troppo affetto ai figli: molto meglio dare loro stima e motivazioni all’autonomia, adeguatamente all’età.

NB. L’animazione dell’orso che abbraccia è di Camilla Eriksson

Pubblicato da

Alessandro Zucchelli

vedi www.sanzuc.it