Un po’ di teoria

«Un uomo come me non può vivere senza una mania, una passione divorante o, per dirla con Schiller, senza un tiranno. Io ho trovato il mio tiranno e, per servirlo, non conosco limiti. È la psicologia»

(S. Freud)

Quando si vuol leggere il comportamento degli altri, si possono utilizzare diversi sistemi. Il più diffuso è l’esperienza: lasciandosi guidare dal proprio buon senso, si attribuiscono alle chiromantepersone che si intende studiare le valutazioni e le spiegazioni che hanno funzionato in passato, in condizioni simili. Questo sistema non richiede di studiare, ma comporta molti limiti, e quindi molti errori. Il maggiore è quello di attribuire agli altri i propri problemi, riducendo l’obiettività: per esempio, quando si è arrabbiati si tende a vedere gli altri più ostili e, se il problema della persona che stiamo osservando presenta aspetti che ci riguardano, rischiamo di valutare in modo emotivamente partecipato; il tutto, sempre, senza accorgersene.

Proprio per questo nasce la ricerca e lo studio: per superare i limiti dell’osservazione effettuata sul buon senso. Tuttavia, studiare la psicologia non è semplice, perché gli esperimenti sono difficili, e non si possono ripetere come, invece, si fa con la chimica, per psicodiagnosiesempio. Quindi, da una parte si cerca aiuto dalla neurofisiologia e dalla medicina, per conoscere di più sul funzionamento dell’organismo, e dall’altra dalla statistica. Per la medicina, la vastità delle conoscenze, che per altro aumentano costantemente, non permette ancora un contributo sufficiente per spiegare da sola il comportamento. Di conseguenza, sembra che l’ultima spiaggia sia costituita dalla statistica: soprattutto grazie allo sviluppo dei calcolatori elettronici, gli istituti di psicologia stanno studiando milioni di persone sottoposte a miliardi di test, per dedurre correlazioni e leggi che inquadrino i comportamenti e le loro motivazioni. Di qui studi scientifici e divulgativi, pubblicati su riviste specializzate e non, ormai di larga diffusione. Tanto che qualcuno comincia a stupirsi che, spesso, questi risultati siano contraddittori: l’affetto fa bene o male?  Le teorie gender aiutano o fanno male? la bugia si può riconoscere oppure no? eccetera.

Il difetto strutturale delle ricerche statistiche è che non presentano risultati validi al 1statistica00%: se si arrivasse al 100% non ci sarebbe bisogno della statistica. Quindi, chi vuol sostenere una tesi, si accontenta del 60% dei risultati d’accordo, mentre chi sostiene il contrario va a vedere il perché del rimanente 40%. In altri termini, troppo spesso la statistica finisce per essere usata per sostenere una tesi, e non per impostare una ricerca, e anche quando viene utilizzata obiettivamente, il risultato inferiore al 100% denuncerà sempre una differenza tra la legge studiata e la realtà.

Per questo, dopo aver approfondito tanto la neurofisiologia quanto la statistica, preferisco uno strumento scientifico nuovo, poco noto, ma molto efficace: il mio maestro, in questo modo di fare scienza, è stato K. Lorenz, premio Nobel per la Medicina Darwinnel 1973. Il metodo consiste nell’applicazione del principio dell’evoluzione di C. Darwin. Anche se non è dimostrato, è un ottimo strumento di lavoro: «sopravvive quello che funziona». Sembra così banale che ce ne si dimentica. Invece, se diventa il criterio dominante per capire tutto ciò che vive, diventa utilissimo: non solo le caratteristiche di ogni organismo vengono spiegate come il risultato della Selezione Naturale, ma anche ogni comportamento nell’individuo può essere capito in quanto viene ripetuto se è efficace o se è stato efficace. In questa ottica, ogni comportamento diventa suscettibile di ricerca, perché viene presupposto che sia sostenuto da un motivo valido.

La rivoluzione sta qui: anche i comportamenti che disturbano, visti alla luce della selezione, hanno un’origine in cui sono stati efficaci, ed è comprendendo quell’origine che diventa possibile modificarli. Già due autori importanti avevano colto questo fatto, da una parte S. Freud, col concetto di «vantaggio secondario», e dall’altra, B. Skinner, con la scoperta del condizionamento operante: il principio della selezione, per cui «sopravvive qpensiero_1uello che funziona o ha funzionato» estende a tutta la personalità il criterio che consente indagini mirate e molto più precise sulla spiegazione dei comportamenti. Il motivo per cui mi è particolarmente facile comprendere le persone sta proprio qui: nella convinzione profonda che lo star male sia la conseguenza di qualcosa che in un tempo andava bene, e che, per qualche motivo, oggi non funziona più, ma l’automatismo è rimasto. In altri termini, salvo rarissime eccezioni, la persona che soffre dispone di ottimi automatismi che, per motivi da capire di volta in volta, non sono più efficaci come quando sono stati appresi. Questo vuol dire che, nella persona che risente di un disagio, io vado a cercare quanto è stato efficace, invece di cercare quello che non funziona. Ed è su quello che va bene che si può costruire il cambiamento.

Pubblicato da

Alessandro Zucchelli

vedi www.sanzuc.it