«Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali»
Da qualche anno la composizione delle classi varia relativamente alle etnie presenti, in termini di aumento. Se fino a qualche anno fa la presenza di uno straniero costituiva curiosità, oggi non è raro che siano gli italiani ad essere in minoranza. Di conseguenza, si stanno creando due fazioni, quella di chi si lamenta e quella di chi è contento di questa novità. Tra quelli che si lamentano, la maggioranza è costituita dai genitori italiani di chi si ritrova in classe coetanei che hanno difficoltà a capire l’insegnante, e da molti insegnanti che sono stati costretti a modificare piani e metodi didattici. Dall’altra parte, sono contenti molti insegnanti e molti allievi, che, grazie a questi inserimenti, hanno occasione per nuovi confronti. D’altro canto, il futuro è multietnico, e più presto si impara a conoscersi, e meglio è.
Tuttavia, credo sia importante mettere a fuoco il problema della formazione: la scuola è ormai l’unica istituzione che può occuparsene veramente, e la pensione ai lavoratori di oggi verrà pagata con le capacità che avranno gli studenti attuali. Purtroppo, gli effetti dell’efficacia nella formazione si vedono a distanza di parecchi anni, quando non si è più in tempo per correggerli, e chi cerca di mettere in guardia viene spesso ignorato, proprio perché il tempo della verifica è troppo lontano.
In questa luce, vanno comunque messe a fuoco un paio di considerazioni. La prima riguarda la distanza che ormai si è stabilita tra scuola e popolazione: mentre si possono aumentare i ticket sanitari, la benzina, i biglietti dei trasporti, le tasse sulla casa e l’IVA, senza che nessuno protesti più di tanto, nessun politico si azzarda a proporre aumenti di costi per sovvenzionare la scuola, perché alla maggior parte delle persone non appare un servizio necessario. Senza arrivare agli episodi di genitori che denunciano gli insegnanti, fortunatamente ancora abbastanza rari, sono tuttavia molti gli interventi che invocano l’abolizione dei compiti a casa o la promozione facile, mentre la partecipazione alle assemblee dei genitori resta quasi sempre molto bassa.
Sembra che a nessuno interessi che la partecipazione dei genitori alle attività scolastiche sia così ridotta, ma in questo modo sarà difficile che la scuola possa ottenere i finanziamenti che le servono, e di cui parlerò qui sotto. Se la scuola resta chiusa nel suo mondo, tollerata dalla gente, senza partecipazione, non sarà possibile il cambiamento che si insegue dal 1962, e che non ha ancora accontentato nessuno. D’altro canto, è interesse della scuola ristabilire i ponti con la popolazione. Occorre che sia il Ministero ad accorgersi del problema, e a mettere in calendario le iniziative necessarie per la sensibilizzazione di tutto l’organico, sindacati compresi, al fine di un riavvicinamento generale della scuola alla società.
La seconda riflessione riguarda i finanziamenti, soprattutto alla luce degli inserimenti scolastici delle nuove etnie. Non è che vada bene o vada male avere più etnie in una classe: quello che manca è una programmazione adeguata, ed un finanziamento per realizzarla. Dato che i soldi non ci sono, si è pensato bene di ricorrere alla motivazione, con campagne sociali, condannando il razzismo ed esaltando la multietnicità, ma non si sono studiati i programmi necessari, almeno per avere una metodologia di inserimento comune tra le varie scuole, così da semplificare il problema tanto agli autoctoni che agli immigrati. Ci sono insegnanti che si adoperano con entusiasmo, altri che mal sopportano la situazione, ma al termine del ciclo di studi in assenza di una programmazione che coordini i percorsi didattici, gli allievi passeranno tutti al successivo ordine, ma con preparazioni differenti nella cultura e nella formazione, mantenendo la gravità del problema.
In pedagogia si sa che, senza programmazione, si può solo improvvisare, e questo non permette né di fare esperienza, né di correggere eventuali problemi. Invece, oggi, l’inserimento avviene sull’onda dell’entusiasmo, ma senza percorsi che garantiscano a tutti i risultati che la scuola dovrebbe ottenere, di preparazione all’inserimento sociale in modo efficace: praticamente, come un giardino lasciato alla spontaneità della natura invece che alla cura professionale.
Alla luce dei cambiamenti sociali in atto, soprattutto con la crisi della famiglia, la scuola avrebbe bisogno di tempi maggiori, e di conseguenza di aumenti nel personale, in modo da evitare che, soprattutto i più giovani, restino abbandonati a se stessi: si avvicina il momento in cui occorrerà una scuola a tempo pieno per tutto l’anno, in modo da prevenire il disadattamento dovuto a socializzazioni fondate sulla prepotenza e prive di guide adulte capaci di orientarle ad una sana formazione.
In alternativa, riprenderà il sistema in vigore da sempre, e di cui ho parlato in un articolo precedente: chi avrà a cuore la formazione dei propri figli, ed avrà le possibilità economiche per farlo, provvederà con gli strumenti più adeguati, e gli altri si arrangeranno con quello che passa lo Stato, sempre meno qualificato, sempre più multietnico ma senza una formazione fondata su una programmazione garantita. In questo modo, la scissione tra scuola e popolazione porterà a separare sempre di più le classi abbienti, che potranno guadagnare e pagare la formazione dei loro figli, da quelle non abbienti che riprodurranno così la condizione di povertà.
La multietnicità sta aggravando quindi il problema della mancanza di fondi per la realizzazione di una programmazione efficace: le intenzioni di molti sono buone, ma mancano gli strumenti, e, come sempre, chi finirà per pagare saranno i più poveri, il cui diritto alla formazione verrà sacrificato, perché in educazione, l’errore più grave è il non fornire opportunità.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.