Il peso di non poter essere se stessi

«Se obbedissi al primo impulso, passerei le giornate a scrivere lettere di ingiurie e di addio»

(Emil Cioran)

L’impressione che ci sia, nascosta nella personalità, una componente più autentica di quella che si presenta al pubblico, e che questa debba restare mascherata perché non compatibile con la convivenza, riguarda la quasi totalità delle persone, con l’eccezione di quelle che soffrono di gravi patologie psichiatriche. Ciascuno convive alla meno peggio con la propria sfera impulsiva, cercando di reprimerla e di mascherarla, spesso convinto selfControldi essere l’unico a soffrire questo problema: in realtà, appunto, il conflitto tra impulso e controllo riguarda tutti, e tutti, pur dubitando delle proprie capacità di mimetismo, riescono a convincere gli altri che questo non è un loro problema. C’è chi impara a soffocare l’impulso mediante l’adesione a regole e doveri, da mettere in pratica anche durante il divertimento, e c’è chi preferisce mimetizzarsi nelle scelte della maggioranza, aderendo agli schemi comportamentali più diffusi ed alle mode, e poi ci sono tutte le variazioni intermedie.

E tutti, chi più, chi meno, avvertono uonicofagian desiderio profondo di lasciare libera la parte impulsiva, che sia in modo assoluto e trasgressivo, o in modo innocente e spontaneo; c’è anche chi non avverte più questo desiderio, che tuttavia trova il modo di manifestarsi nei tanti modi che ha messo a fuoco la psicanalisi.

Il problema è antico: fino a poco tempo fa, la soluzione riservata alle classi medio alte, consisteva in un’educazione particolarmente rigida, orientata ad un controllo assoluto del comportamento. Che fosse il precettore o il collegio, si impostava una disciplina particolarmente dura, con castighi anche corporali, per ottenere che i giovani venissero preparati ad una vita adulta di perfetto self-control: la figura del gentleman inglese, imperturbabile e praticamente senza emozioni, ne è un tipico esempio. Nell’antica Grecia, erano i filosofi coloro che avevano il compito di insegnare la completa padronanza di sé non solo mediante la cultura ma anche lo sport sportGreciaed il sacrificio. Tutto questo comportava anche severe selezioni, e chi non arrivava all’autocontrollo perdeva l’accesso alla partecipazione sociale. Al contrario, ai ceti inferiori era consentita molta libertà impulsiva, salvo poi reprimere gli eccessi anche in modo violento. E interessante, a questo proposito, una riflessione proposta da V. Guiggi in merito alle caratteristiche delle statue greche, che conferma bene il modo di vivere l’impulso da parte dei vari ceti sociali nell’antichità.

Accanto alla formazione autoritaria per i giovani dei cmonasteroeti alti, si sono affiancate le religioni che, attribuendo alle Forze del Male l’autorità sull’impulso, hanno permesso a molte persone dei ceti inferiori di acquisire un loro autocontrollo e quindi la conquista dei ruoli di potere, dai monasteri alla vita sociale.

La soluzione al problema del conflitto tra impulso e controllo mediante una formazione severa e rigida, e con una severa selezione nei confronti di chi non riuscisse, ha caratterizzato le scuole praticamente fino agli anni ’70 del secolo scorso: l’autoritarismo era la garanzia per l’educazione di persone in grado dsessantottoi governare se stessi e gli altri. Con l’introduzione della scuola dell’obbligo prima (1877) e della scuola media unica (1962), l’autoritarismo è progressivamente arretrato, fino al crollo completo, con la contestazione del 1968 ed anni successivi. Un processo di un secolo e mezzo ha portato alla crisi del metodo autoritario, a favore della presa di coscienza, affiancato, non a caso, dallo sviluppo della cultura psicanalitica in una diffusione ben oltre lo studio del terapeuta.

In tutto questo, resta il problema: perché questa scissione tra impulso e controllo? Il “rumore di fondo“, come lo chiamava Harris, che connota la vita di tutti e che è diavoloriconducibile a questo conflitto, che origini ha? Solo le religioni ne hanno fornito una spiegazione, relegata però alla metafisica, a ciò che non si tocca e non si può sperimentare: attribuendo al Diavolo l’origine della spinta all’impulso, hanno ottenuto diversi successi, tanto nello sviluppo di forme di autocontrollo, quando di liberazioni dal disagio attraverso esorcismi, esercizi spirituali e digiuni, ma non per questo hanno potuto spiegare scientificamente il motivo per cui esiste questo dualismo interiore.

Nemmeno la psicologia è riuscita a fornire spiegazioni scientifiche: ha preso atto del conflitto, e lo ha utilizzato per giustificare la psicopatologia dell’isteria e tutti i disagi delle persone normali, ma non mi risultano Autori che si pongano il problema dell’origine strutturale del conflitto, del motivo per cui, soprattutto nelle persone intelligenti, debbano coesistere le due Yincomponenti della personalità che finiscano ad essere in perenne contrasto tra loro.

L’evidenza del successo mondiale delle religioni, tutte con riferimento a due poli uno riferibile all’impulso e l’altro al controllo, dice che non siamo di fronte a forme patologiche individuali, ma a qualcosa di più profondo: la Bibbia lo attribuisce al Peccato Originale, e lo dichiara come costitutivo dell’umanità, riconducendolo ad un conflitto universale tra Creatore e Lucifero, così come si ritrova una lotta tra opposti in quasi tutte le cosmogonie, nonostante non potessero esserci testimoni che la documentassero.

Se analizziamo i contenuti dei due estremi del conflitto togliendo la vernice morale del Bene e del Male, si vede meglio come lo scontro riguardi il rapporto tra individuo e gruppo. L’impulso è egocentrico, mentre il controllo è sociale, e proprio per questogattona obiettivo l’impulso viene censurato. D’altro canto, rispetto a tutti gli altri animali, l’essere umano è legato ai suoi simili in modo molto più profondo: se venisse abbandonato a se stesso prima dell’anno di vita, non avrebbe possibilità di sopravvivenza. Di norma, comunque, l’essere umano dipende dal mondo che lo circonda per almeno cinque anni, se vive in tribù, o dove è consentito il lavoro minorile, e nelle culture più avanzate spesso non è indipendente nemmeno dopo l’adolescenza.

Il funzionamento del sistema nervoso, come del resto tutte le caratteristiche riportate nel DNA, viene ereditato dai progendnaitori per quanto è funzionale alla sopravvivenza: siamo figli, nipoti e pronipoti di chi, prima di tutto, è riuscito a cavarsela nell’ambiente in cui si trovava e ad arrivare ad un’età sufficiente per procreare. Questo sistema nervoso, per gli animali, è già predisposto per un buon adattamento all’ambiente: sa come imparare l’adattamento alle variazioni particolari, mentre la biologia dell’organismo eredita i sistemi di adattamento più generali e rigidi. (so che questo passaggio è un filino ostico: lo riprenderò in altra occasione)

Per l’essere umano, invece, questo non avviene, perché tua mamma non è uguale alla nonna e tanto meno alla bisnonna: le condizioni di sopravvivenza che ti ha posto tua madre non erano previste dalla genetica ereditata, anche perché, comunque, occorrono diverse generazioni per consolidarle, mentre nei primissimi anni di vita, ciascuno ha esperienze altamente individualizzate nel rapporto con gli adulti che lo mantengono in vita.

Questo comporta che, da una parte il sistema nervoso è predisposto per imparare a cavarsela nell’ambiente in cui si trova, ascoltando le proprie esigenze e le proprie necessità (impulso), e dall’altra si trova a dover imparare come convivere con i problemi dell’ambiente e delle regole che gli vengono imposte, non sempre così coerenti come il sistema nervoso gradirebbe (controllo). Se la pappa venisse data tutti i giorni alla medesima ora, il bambino imparerebbe una regola semplice. Ma se la mamma alla domenica si riposa di più, mentre gli altri giorni deve andare a lavorare, ecco che per un neomammaFiglionato che non sa ancora contare, la regola da imparare diventa molto complicata… e questo è solo un esempio di un caso semplicissimo… pensa ai salti mortali intellettuali che ha dovuto fare chi si è trovato ad imparare a convivere con una mamma che aveva problemi economici, o affettivi, o che non sopportava la suocera…

Maggiore è l’intelligenza (è il mio tema preferito, troppo spesso trascurato, quello delle conseguenze dell’essere intelligenti – a questi link tre articoli significativi), maggiore è la capacità di apprendere, fin dai primissimi mesi di vita, la miriade di regole che vengono imposte dall’ambiente, in particolare dalla madre, o chi per lei, che costituisce la chiave di sopravvivenza per il bimbo.

Di solito, tutto questo costituisce ginnastica per l’intelligenza, aumentandola: in caso di carenza strutturale, il bimbo reagirebbe in modo rigido, e sarebbe lui a creare i prdisagiooblemi, invece di adattarsi per risolverli.

In altri termini, il medesimo sistema nervoso, con le medesime regole di apprendimento, si ritrova a dover coltivare due sistemi differenti, entrambi necessari per la sopravvivenza. Da una parte le esigenze di sopravvivenza individuale, legate alle pulsioni che sono i segnali inviati dall’organismo al sistema nervoso quando teme per il proprio equilibrio fisico, e dall’altra l’enorme quantità di regole acquisite durante l’infanzia per convivere con l’ambiente protettivo, e che, spesso, non coincidono con quelle necessarie da adulti.

Per questo, pur con la grande selezione a scapito di molti, l’educazione autoritaria ha durato per molto tempo: grazie alla disciplina ferrea venivano praticamente cancellate le regole acquisite per la convivenza in casa, e sostituite con quelle ritenute valide per frequentare gli ambienti di successo che, in passascuolato, erano fortemente legati alla tradizione, quindi praticamente immutabili nelle loro regole.

Oggi questa formazione autoritaria è praticamente scomparsa, perché diventata inefficace, e anche molte scuole di psicoterapia, nate quando il problema della conflittualità interiore era più omogeneo, perdono qualche colpo. Ma non per questo il disagio della lotta interiore si è risolto: restano ancora, e maggiori, le molteplici regole imparate durante l’infanzia per convivere con adulti meno rigidi, più vari, e quindi più difficili da schematizzare. Tuttavia, la strada rimane la stessa:  capire che si tratta di regole acquisite per la sopravvivenza, capire il disagio è determinato dall’intelligenza, e non da malattie o difetti, e che queste regole apprese con tanto impegno e buona volontà, possono essere smontate, e superate dalla consapevolezza. In teoria il lavoro è semplice, ma richiede due condizioni fondamentali, la pazienza ed il confronto con qualcuno che se ne intenda.

Pubblicato da

Alessandro Zucchelli

vedi www.sanzuc.it

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