«Non tutti vogliono ascoltare un parere diverso dal loro»
Le relazioni passano dalla comunicazione: che si tratti di collaborare, di acquistare qualcosa, di interagire o di difendersi, c’è sempre uno scambio di messaggi, ma non è detto che il risultato finale sia quello voluto da chi interagisce. Per questo, da mezzo secolo si ha cominciato a studiare questo fenomeno, arrivando a definire qualche regola da rispettare per avere maggiori probabilità di successo.
In particolare, il divorzio è un fenomeno recente, e presenta grandi problematiche comunicative, perché la modalità di relazione tra i due interessati ha cambiato segno, passando dall’attrazione alla repulsione e, soprattutto se ci sono di mezzo figli, da una parte sarebbe fondamentale mantenere una buona comunicazione, ma dall’altra è praticamente impossibile.
Uno dei problemi più frequenti tra le coppie di separati, è costituto dall’importanza di dire quello che si pensa. Di solito, uno dei due è fiero sostenitore di questa teoria, e ritiene che sia suo dovere comunicare all’ex dove sbaglia e dove deve cambiare. Naturalmente, l’altro, cercherà di difendersi, inizialmente rischiando di arrivare alla violenza, ma, di solito, arrendendosi e cercando di evitare lo scontro smettendo di rispondere alle provocazioni e quindi di comunicare, chiudendosi nel silenzio. Per questo, il sostenitore dell’importanza della trasparenza e del dover dire quello che pensa, comincerà a ritenere che l’ex coniuge reagisca così perché sa di aver torto, e che non sappia più come difendersi. In generale, anche fuori dai problemi di coppia, proprio il rifiuto di comunicare da parte dell’interlocutore non viene capito come rifiuto della violenza, ma viene interpretato come dimostrazione del fatto che abbia torto e non voglia ammetterlo: anche se in tutti i tribunali civili è ammessa la facoltà di non rispondere, spesso questa viene interpretata come tacita ammissione di non aver ragione, anche se non è così, ed è rimasto famoso il silenzio di Tommaso Moro, accusato da Enrico VIII di tradimento, e decapitato per questo.
Un grande esperto di comunicazione, P. Watzlawick, nel volume La Pragmatica della Comunicazione Umana, a proposito delle conseguenze psicopatologiche prodotte da una comunicazione distorta, propone il caso dei genitori che vogliono che il figlio racconti quanto fa in loro assenza, mentre il figlio si ostina a stare zitto, e commenta che il figlio, col suo silenzio, comunica che non vuol comunicare, mentre i genitori rifiutano di comprendere il messaggio del figlio. Watzlawick nota anche come un figlio in questa situazione potrebbe arrivare a doversi inventare una malattia, per comunicare ai genitori che, se non comunica, non è per mancanza di amore, ma perché non può. Condizioni rare, ma non impossibili. Di fatto, è sempre molto difficile comunicare quando si intuisce che l’interlocutore non intende ascoltare se non quello che ha già deciso: al contrario, tutto diventa messaggio per chi ha le orecchie aperte.
I problemi di incomprensione sono riconducibili a questo nucleo: che un interlocutore stia zitto, che cambi discorso, o che sostenga di aver capito quando appare il contrario, il punto focale sta nel problema dell’ascolto, nella disponibilità ad accogliere il messaggio dell’interlocutore, cercando di capire quello che l’interlocutore intende dire.
Per venirne fuori, occorre approfondire un attimo di teoria. Si comunica fin dalla nascita, ma raramente ci si sofferma a capire in che cosa consista la comunicazione: perché si comunica? a cosa serve comunicare? che effetti ottiene la comunicazione? Dalla parte di chi trasmette il messaggio, la comunicazione nasce come ex + pressione, “buttar fuori”: fin da piccolissimo, quando avevi un’esigenza, piangevi, buttavi fuori il tuo dolore; e lo stesso quando ridevi, buttavi fuori la tua gioia, incurante se qualcuno ascoltasse.
Invece, dalla parte di chi ascolta, il messaggio produce un cambiamento: quando eri piccolo, e piangevi, la mamma cambiava, smetteva di fare quello che la interessava per occuparsi di te.
Gli errori di comunicazione consistono in questo: da una parte, non elaborare un messaggio perché possa ottenere un cambiamento, e dall’altra non essere in grado di gestire il cambiamento prodotto dal messaggio. Enrico VIII non voleva ascoltare Tommaso Moro, non accettava il cambiamento che Tommaso Moro gli indicava. Tommaso Moro, quindi, non aveva scelta: avesse parlato avrebbe dato solo ulteriori pretesti a Enrico VIII per fare quello che ha comunque fatto, giustiziarlo.
Per l’elaborazione di un messaggio per renderlo comprensibile, rimando al mio testo, un po’ abbondante, ma penso facile.
Oggi, invece, propongo qualche spunto sulla capacità di ascoltare. Ci sono tanti sistemi che consentono di non ascoltare, ed il primo sta nel giudizio di bugia. Come già scrivevo nel testo citato, ci sono due tipi di bugia, quelle vere e quelle false. Le bugie vere sono quelle che si dicono, perché si sa di dirle, quelle false sono quelle che si attribuiscono agli altri, perché si immaginano, ma non se ne hanno le prove. E anche sulle bugie verificate suggerisco di andare con cautela, perché non sempre sono bugie. Di fatto, non esistono i bugiardi: esistono persone che dicono bugie, te compreso, ma per una buona comunicazione è più efficace evitare di prestare attenzione alle bugie che si colgono, preferendo i messaggi sui quali si può costruire.
Se su questo discorso a proposito delle bugie ti nascono i “se” e i “ma“, è verosimile che stai facendo fatica ad accettare il cambiamento che ti propongo, e che, probabilmente, ci sono temi sui quali preferisci pensare di avere a che fare con bugiardi piuttosto che cambiare la tua idea.
Il problema diventa quindi quello delle proprie convinzioni: il cardinal Bellarmino rifiutò di guardare nel telescopio di Galileo per non mettere in crisi la propria convinzione che la Terra fosse al centro dell’Universo, sostenendo che quello strumento fosse diabolico e quindi falso. Quando le convinzioni sono fragili, si fa fatica a dubitarne, soprattutto se sono state operate delle scelte, e quindi fatiche in base a quelle scelte: per Bellarmino c’era il rischio di mettere in crisi il suo essere cardinale e tutta la fatica fatta per conseguire quel ruolo.
È quindi probabile che, quando le convinzioni sono fragili ma ci si è affezionati, si cerchino testimoni che non sempre siano disponibili, e che quindi rifiutino di avallarle, come Tommaso Moro con Enrico VIII, soprattutto se l’affetto per il pregiudizio è così forte da preferire eliminare chi non testimonia a favore.
Tutto questo si vede bene nella comunicazione tra ex coniugi, a proposito dei loro figli: in una relazione cominciata con dichiarazioni di amore che non ha retto al confronto con la realtà, la comunicazione è sicuramente difficile, in quanto ciascuno sa di avere i propri torti e spera che, comunque, siano inferiori a quelli dell’ex coniuge, ma teme il contrario. Se Genitore1 ha raccolto informazioni sufficienti per dimostrare il torto di Genitore2, pretende che questi lo riconosca, dato che, in realtà, Genitore1 non è certo di non avere torti. Di conseguenza, Genitore2 ha poche vie: o segue il principio per cui la miglior difesa è l’attacco, ed i tribunali traboccano di questo tipo di relazione, o, se non riesce ad avere sufficienti prove di colpevolezza di Genitore1, quasi sempre evita il confronto temendo di uscirne ingiustamente perdente.
La caratteristica principale di queste comunicazioni di incomprensione è che riguardano il passato, e non impostano il futuro. Invece di affrontare il problema che si pone di volta in volta, che si tratti delle spese da dividere o di scelte educative per i figli, l’argomento diventa presto il passato, in una ricerca di conferme dei propri pregiudizi. Invece di esaminare la condizione attuale, e cercare soluzioni per il futuro, la comunicazione si blocca, con conseguenti danni economici o per i figli.
In altri termini, si tratta di rinunciare a confermare i pregiudizi sul passato, e di cominciare a costruire un futuro efficace. Non sempre questa determinazione è sufficiente per ripartire con la comunicazione, e sicuramente occorrono anche altre tecniche per recuperare le conseguenze di una comunicazione distorta. Ma ricordare che la comunicazione produce cambiamento, e saper bene quale cambiamento cercare attraverso la collaborazione, aiuta, con la pazienza, a definire relazioni più civili.
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