«Non vorrei mai far parte di un club che accettasse come socio uno come me»
Detta così, sembra una frase umoristica: di fatto, nasconde uno dei più potenti veleni sociali, e spiega la potenza del sentimento di inferiorità.
Chi dà per scontato di essere meno , non lo sa: è abituato, e pensa che il mondo sia fatto così, da una parte i potenti, pochi, dall’altra chi ha il permesso di vivere se “fa il bravo“, come lui. Da tempo ha imparato a stare nella media, a restare nella folla, ad evitare di farsi notare. Legge il quotidiano e guarda il telegiornale soprattutto per sapere come ci si deve comportare, ma con una particolare attenzione per la cronaca scandalistica: ha un suo piacere personale quando lo informano che qualche potente ha commesso un errore, perché questo lo consola e lo rinforza nella sua decisione di non uscire dalla mediocrità.
Le persone che sono abituate al sentimento di inferiorità cercano di confondersi nella folla, di non apparire, ma si riconoscono per un particolare, quello di vivere nella frase di Groucho Marx ed in tutte le sue applicazioni.
Tra le variazioni sul teorema di G. Marx, la più frequente è: «Chi ama uno come me, o è scema, o è in malafede», naturalmente col reciproco al femminile. La persona abituata all’inferiorità non ama e non vuole essere amata: se trova una persona altrettanto mediocre, convive nella sopportazione reciproca, ma se incontra qualcuno che potrebbe amarla, ne diffida immediatamente, e, se proprio non riesce ad evitare il matrimonio, non avrà mai la minima stima di chi l’ha sposato/a, proprio perché è impossibile amare una persona mediocre come lei ed essere anche intelligente.
Altra variazione: «I miei figli non possono essere migliori di me». Per cui, se i figli di queste persone hanno qualche successo, è solo perché sanno imbrogliare, e non sono stati scoperti, ma non lo meritano. Queste persone, come non sanno apprezzare il coniuge, così non sanno apprezzare i figli, creando loro tante difficoltà, fino a che non si rassegnano ad adeguarsi alla mediocrità. Spesso, in queste famiglie, c’è un figlio “ribelle“, ma è raro che riesca ad avere dalla vita quello che gli spetterebbe: e le spinte educative tendono più a farne un disadattato che non una persona dignitosa e originale.
Infine, (per oggi), un’ultima variazione significativa: «Chi mi dà lavoro, o è scemo, o lo fa per sfruttarmi». Per questo, la persona abituata a considerarsi inferiore, tende a ricambiare chi la fa lavorare con la fuga dallo sfruttamento, cercando ogni sistema per lavorare il meno possibile e senza impegno, convinta che il lavoro non possa dare soddisfazione oltre che denaro.
Naturalmente, se hai letto fin qui, questo non è il tuo caso, ma probabilmente hai riconosciuto qualcuno in queste condizioni. Chi è abituato a sentirsi inferiore non accetterà mai aiuti, perché non sa sperare, e quindi è dis-sperato. Ma se c’è qualche aspetto che desideri approfondire, scrivimi pure, che ti risponderò volentieri in privato.
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