«Mia moglie ed io siamo stati felici per vent’anni. Poi ci siamo conosciuti»
(La Settimana Enigmistica)
Stando all’ISTAT, la durata media del matrimonio italiano è di 17 anni, ed i matrimoni più recenti tendono a durare ancora meno. Vuol dire che non si può più parlare di matrimonio indissolubile, anche se chi si sposa è tenuto a giurare che per loro non sarà così.
La separazione ed il divorzio sono sempre più incombenti sulla coppia, ma vengono ancora considerati come eccezionali, e ci si comporta come se la regola fosse quella del matrimonio indissolubile. I negozi di mobili vendono arredamenti per coppie che non avranno il problema di stabilire come dividere l’armadio quattro stagioni, e la scuola non prevede sostegni ai minori che devono fare i compiti un giorno dal papà e un giorno dalla mamma.
Per questo, che lo si dica o lo si sottintenda, la colpa della separazione ricade sui coniugi, nonostante sia evidente che la difficoltà sia collettiva, e non possa essere attribuita al singolo.
I colpevolisti sostengono che, come ce la fanno altri che si impegnano, così dovresti farcela anche tu, con maggior buona volontà. E sono tanti i genitori separati che sentono questo peso, come se fosse colpa loro, come se il matrimonio avesse potuto essere salvato col loro sacrificio.
Invece, il matrimonio fallisce perché le condizioni necessarie per sostenerlo si stanno dissolvendo: non è colpa di chi si sposa, ma del fatto che chi si sposa non può sapere cosa stia facendo.
Prima di tutto, bisogna ricordare che la famiglia non è costitutiva dell’essere umano che, invece, allo stato naturale, vive in tribù. La famiglia non è nella natura dell’essere umano, ma è imposta dalle esigenze del vivere assieme.
È la società che ne cambia le regole, a seconda delle proprie esigenze, e la famiglia dei nostri nonni aveva regole diverse da quelle di oggi.
L’unica regola costante, da sempre, è che in famiglia chi decide è il maschio, come nella tribù.
Invece, oggi non si insegna più ai maschi a comandare, e non si insegna più alle ragazze ad essere sottomesse: è una scelta sociale, di cui siamo orgogliosi, ma il cui prezzo è la scomparsa di quella famiglia che ha durato per seimila anni.
La famiglia, cui siamo tanto affezionati, si è sempre fondata sulla sottomissione della donna, sulla sua rinuncia a realizzarsi, sull’accontentarsi della maternità come il massimo dell’aspirazione.
É ora che l’emancipazione femminile non sia più una colpa, è ora che la donna possa decidere di se stessa, è ora che la società torni a farsi carico della formazione e della valorizzazione dei giovani, senza che questo gravi solo sulle spalle della madre.